Letteratura

Giacomo Leopardi: vita, opere e poetica dell’autore

Chi era Giacomo Leopardi? Qual è stato il suo stile e la sua poetica? Di seguito abbiamo raccolto, in un riassunto accurato, tantissime informazioni su Giacomo Leopardi, vita e opere dell’autore simbolo dell’Ottocento in Italia.

giacomo leopardi

Giacomo Leopardi: la vita e la giovinezza del poeta

Pur essendo nato in un paesino di provincia e chiuso e arretrato, all’interno di una famiglia della piccola nobiltà conservatrice  e bigotta, Giacomo Leopardi con la sola forza della sua intelligenza e della sua curiosità intellettuale è riuscito a esprimere una delle posizioni più nuove e originali della sua epoca. Leopardi nasce a Recanati nel 1788, un piccolo centro dello Stato Pontificio, da una famiglia nobile ma economicamente in difficoltà, circondato da un ambiente chiuso e reazionario. Dotato di sensibilità e precocità straordinaria, il futuro poeta a soli 10 anni si immerge nella ricca biblioteca paterna, dove studia gli autori classici latini e greci e si appassiona alla filosofia illuministica. La vita di Leopardi prosegue con sette anni di studio matto e disperatissimo, grazie ai quali l’autore diventa uno dei maggiori eruditi del suo tempo, ma rovina irreparabilmente la propria salute; ancora giovane è già affetto da una deviazione della spina dorsale, da gravi disturbi agli occhi e allo stomaco, nonché da una malattia nervosa.

Le prime poesie di Giacomo Leopardi

Tra il 1816 e il 1819, Leopardi scrive le prime poesie importanti e matura la sua visione del mondo. Il giovane si rende conto delle proprie doti, ma è oppresso dalla solitudine e dalla mancanza di contatti con il mondo intellettuale italiano. Tenta di prendere parte alla discussione fra classici e romantici, ma il suo Discorso di  un italiano intorno alla poesia romantica, in cui si schiera a favore dei classicisti non viene pubblicato. La famiglia ostacola la sua amicizia con un letterato piacentino di nome Pietro Giordani e si oppone quando Giacomo Leopardi comincia a mettere in discussione i principi della religione cattolica e del pensiero conservatore, trasmessigli rispettivamente dalla madre Adelaide, Antici, donna fredda e con poco spirito materno, e dal padre Monaldo. A un certo punto della sua vita, Leopardi pensa di fuggire da casa ma viene scoperto e fermato. L’episodio è all’origine di una terribile crisi accentuata dalle pessime condizioni di salute del poeta, aggravate anche dal suo studio ” matto e disperatissimo” che lo porterà ad avere seri problemi alla schiena. Il poeta intanto però elabora i primi progetti importanti: quello delle Canzoni, che pubblicherà tra il 1820 e il 1824, e quello delle Operette morali, che vedranno la luce più tardi.

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Oltre le opere di Leopardi: i suoi viaggi

Nel 1822 il padre dà finalmente a Leopardi il permesso e il denaro per recarsi qualche mese a Roma. La capitale si rivela però una delusione; qui l’autore trova mediocri i letterati, quasi inesistente il dibattito intellettuale e frivole le donne romane, trovando unica consolazione nel visitare il Gianicolo e la tomba di Torquato Tasso. Giacomo Leopardi decide poi di spostarsi in altre città: a Milano, dove incontra l’editore Stella, per il quale curerà un’antologia di prosatori e una di poeti; a Firenze dove conosce Manzoni e Stendhal, ed entra in contatto con un importante gruppo di letterati romantici e liberali.
In questi anni Leopardi abbandona quasi del tutto la poesia e si dedica alla riflessione filosofica: scrive la maggior parte dello Zibaldone, una raccolta di pensieri e riflessioni su argomenti vari, e porta a compimento Le Operette morali, pubblicate nel 1827.

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Giacomo Leopardi: poesie e gli ultimi anni a Recanati

Nel 1828 Leopardi torna alla poesia. Sta per rientrare a Recanati e i ricordi della giovinezza gli ispirano alcuni tra i versi più intensi della sua opera. L’ispirazione continua dopo il ritorno nel natio borgo selvaggio, dove rimane fino al 1830, anno in cui Leopardi lascia definitivamente Recanati per Firenze. Nella città toscana incontra Antonio Ranieri, un giovane napoletano esule per ragioni politiche e si innamora non corrisposto di Fanny Targioni Tozzetti, per la quale scrive anche una serie di liriche, il ciclo di Aspasia. Nel 1833 si trasferisce a Napoli insieme a Ranieri, e qui vive gli ultimi anni sempre più sofferente, assistito dall’amico e dalla sorella di lui. A Napoli scrive il poemetto satirico i Paralipomeni della Batracomiomachia, mentre durante la permanenza a Torre Del Greco, dove si reca per scappare dall’epidemia di colera di Napoli, scrive La ginestra o il fiore del deserto. Muore nel 1837.

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Le poesie di Giacomo Leopardi, le opere e il pessimismo leopardiano

Le prime opere di Leopardi sono studi eruditi del greco e traduzioni dal greco e dal latino.
Nel 1816-1817 possiamo collocare il passaggi dall’erudizione al bello, con Leopardi che inizia a scrivere versi secondo lo stile neoclassico e a tenere un diario di riflessioni filosofiche (lo Zibaldone). Il primo frutto di questa svolta è il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, in cui elabora i principi della sua poetica, prendendo posizione contro i romantici. Leopardi poi scrive dieci Canzoni che pubblica in un unico volume nel 1824. Negli stessi anni scrive però poesie di impostazione diversa, i Piccoli idilli, che verranno pubblicati in volume solo molti anni più tardi, nella prima edizione dei Canti. Emerge da queste opere un tema ricorrente: il rapporto tra la natura e l’uomo. È questa la fase del pessimismo storico di Leopardi: la natura è benigna e positiva, l’uomo della civiltà moderna è infelice perché si è allontanato dalla positività e dalla semplicità della natura.

Una seconda svolta si verifica tra il 1824 e il 1828: sono quelli gli anni in cui Giacomo Leopardi abbandona quasi completamente la poesia, per dedicarsi alla riflessione filosofica e alle Operette morali. In questi anni il poeta approfondisce la sua visione pessimistica della vita: ora il dolore è una condizione universale non solo degli esseri umani, ma di tutti gli esseri viventi (pessimismo cosmico). È la natura stessa che, indifferente ai desideri delle sue creature, appare come una forza cieca e spietata, che tutto travolge. Questi stessi temi sono alla base dei Grandi Idilli, scritti a partire dal 1828, che concludono la prima edizione dei Canti, nel 1831.
Seguiranno altre due edizioni dei Canti, nel 1835 e nel 1845, comprendenti le ultime poesie di Leopardi, tra le quali quelle del ciclo di Aspasia, del 1834 e La ginestra del 1836, in cui è contenuto l’ultimo messaggio del poeta.
Il pessimismo di Leopardi si risolve infatti in un invito alla fratellanza fra tutti gli uomini, che con le loro lotte fratricide aumentano le sofferenze a cui la natura condanna tutti gli esseri viventi.

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Le scelte stilistiche di Leopardi e il linguaggio dell’indefinito

La straordinaria forza della poetica di Leopardi si unisce nella sua opera poetica ad alcune importanti innovazioni formali: l’invenzione della canzone libera, che rompe con la tradizione dell’opera di Petrarca, la creazione di una prosa d’arte e l’utilizzo di un linguaggio dell’indefinito. Nello Zibaldone Leopardi afferma: «le parole lontano, antico e simili sono poeticissime e piacevoli, perché destano idee vaste e indefinite, e non determinabili e confuse.» Perché queste parole, queste situazioni sono particolarmente poetiche? Secondo Leopardi, proprio perché trasmettono un’idea poco definita, poco precisa, e quindi lasciano spazio all’immaginazione. La realtà è dolorosa e le illusioni costituiscono per il poeta l’unica possibile fonte di consolazione.

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Il rapporto tra Leopardi e il Romanticismo

Spesso si considera Leopardi un poeta romantico. La realtà però è più complessa. Il Romanticismo in Italia si afferma a partire dal 1816, quando una scrittrice in svizzera-francese, Madame de Staël, pubblica un articolo in cui rimprovera gli scrittori italiani poiché traducono solo gli antichi scritti latini e greci e trascurano invece quelli moderni, inglesi, tedeschi e francesi. L’articolo provoca un vivace dibattito: i romantici si schierano a favore del letteratura moderna, i neoclassici rivendicano la superiorità della letteratura antica. Nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, Leopardi prende risolutamente posizione a favore dei classicisti, mettendo a confronto la poesia degli antichi e quella dei moderni e riconoscendo la superiorità della prima rispetto alla seconda. Nel mondo antico, egli afferma, gli uomini vivono in un rapporto più intimo e spontaneo con la natura, che ispirava loro favole, miti e magie, ossia quelle illusioni che servivano a mascherare la dura realtà della vita.

Nell’epoca moderna tuttavia questo equilibrio tra uomo e natura si è infranto definitivamente a causa della ragione, la quale ha dissolto il canto delle favole, squarciando il velo delle illusioni. Come per i romantici, quindi, per Leopardi è possibile la poesia “ingenua”, che nasce spontaneamente dall’osservazione della realtà, ma resta la possibilità di una poesia più intellettuale, più meditata, che sia una consapevole imitazione di quella antica. Resta anche la possibilità di attingere ai ricordi dell’infanzia, la sola stagione della vita umana simile per molti versi a quello stato naturale che era proprio degli antichi. Nel dibattito tra classici e romantici Leopardi prende dunque posizione a favore dei classici e di una poesia ispirata a quella antica; tuttavia si avvicina ai romantici nell’esaltazione dell’infanzia, nel contrasto tra gli slanci del sentimento e l’infelicità umana, nell’esplorazione dell’individuo tramite la letteratura.

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Il piacere secondo Leopardi

La teoria del piacere di Leopardi è collegata alla sua visione pessimistica. Secondo il poeta infatti l’uomo è costretto a cercare nel corso della sua vita una fonte di piacere, che però è illimitato e poco durevole. L’unico modo per l’uomo di provare felicità è immaginare, cercando la felicità immaginandola nelle cose. Per lui poi la noia consiste ne momento in cui non c’è nulla da desiderare, una condizione esistenziale.

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