L’Italia postunitaria è un paese arretrato
All’indomani della proclamazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1861, molti territori della penisola erano ancora arretrati. Su circa 22 milioni di abitanti, solo 5 milioni avevano ricevuto un’istruzione elementare e l’analfabetismo riguardava il 78% degli individui. Molto inferiore era addirittura il numero di italiani capaci di parlare correttamente in lingua italiana mentre la maggior parte della popolazione parlava in dialetto. Inoltre la Penisola italiana presentava un alto numero di centri urbani: alcuni con 100.000 di abitanti come Napoli Torino, Palermo e Milano, mentre la maggior parte ne contava più di 20.000. Tuttavia nel Regno d’Italia le vie di comunicazione tra le varie città erano insufficienti: a eccezione del Piemonte, Lombardia e Campania, non esisteva infatti una ferrovia nazionale e anche la rete stradale era scarsa. Pertanto molte zone della penisola restavano isolate.
Il nuovo Regno d’Italia: la forte disparità tra Nord e Sud
Nel Regno d’Italia ben il 70% della popolazione era occupata nell’agricoltura. Tuttavia il territorio italiano era spesso impervio o paludoso e non permetteva lo sviluppo di un’agricoltura redditizia. Inoltre molte zone coltivabili erano lasciate incolte. Solo nella Pianura Padana erano sorte aziende agricole moderne che praticavano sia l’agricoltura, sia l’allevamento e impiegavano la manodopera salariata. Nell’Italia centrale invece sopravviveva la mezzadria che prevedeva la ripartizione dei prodotti ricavati dalla coltivazione delle terre tra il proprietario terriero e il contadino affittuario. Al sud infine persisteva l’agricoltura latifondista, il cui i braccianti, sfruttati dai grandi proprietari, coltivavano bassi appezzamenti di terra.
Comune ai contadini di tutta la penisola era la miseria, aggravata da un’alimentazione povera e da condizioni di vita malsane. Allo stesso modo era debole il settore industriale. L’industrializzazione era sviluppata al Nord nel triangolo industriale di Torino Milano e Genova, dove si stavano impiantando insediamenti metallurgici e siderurgici. Nell’Italia meridionale invece, erano floride le aziende tessili soprattutto nelle zone di Salerno e di Caserta. Le industrie italiane però erano ancora fenomeni isolati e nel Paese mancava una vera classe di imprenditori.
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La Destra storica sale al potere
Il gruppo politico della destra assunse assunse l’impegno di governare lo Stato appena nato e rimase al potere per 15 anni dal 1861 al 1876. Era formato prevalentemente da esponenti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, da sempre schierati a favore della creazione di un regno guidato dalla monarchia sabauda. Essi formavano la maggioranza in Parlamento, gli ideali della destra erano liberal-moderati e ritenevano che lo Stato dovesse essere laico, cioè non dovesse subire nessuna interferenza da parte della Chiesa. Gli uomini della destra provenivano dall’Italia del centro mentre pochi erano originari del sud. La destra venne chiamata storica, così come la sinistra successivamente, perché ebbe un ruolo centrale per organizzare e consolidare il nuovo Stato italiano.
A essa toccò il difficile compito di raccogliere l’eredità politica di Cavour, morto nel giugno del 1861, ma non ebbe la sua stessa abilità politica nel governare il Paese. Contrapposta alla destra storica c’è la sinistra che raggruppava gli esponenti democratici e repubblicani. Essi provenivano dalla piccola e media borghesia e si battevano per il suffragio universale e per il completamento dell’unità d’Italia. Il governo della destra storica e quello della sinistra tuttavia rappresentavano una parte limitata del popolo italiano, perché solo un ristretto numero di cittadini aveva il diritto di voto. Infatti la legge elettorale del Regno sabaudo, che era stata estesa allo Stato italiano, riconosceva il diritto di voto al 2% della popolazione, cioè i cittadini maschi con più di 25 anni di età, alfabeti e con un reddito medio alto.
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Lo Stato italiano diventa accentrato: tutte le riforme della destra storica
I governi della destra storica dovettero decidere in che modo organizzare il nuovo Stato italiano. Essi avevano l’immediato bisogno di esercitare uno stretto controllo su tutto il paese. Per questo motivo scelsero di creare uno Stato centralizzato. L’Italia fu quindi suddivisa in province amministrate dai prefetti, dei funzionari che rappresentavano il governo a livello locale. Il governo nominava anche i sindaci dei comuni, il consiglio comunale che era eletto dei cittadini con diritto di voto. Era necessario, inoltre, unificare il paese anche dal punto di vista amministrativo, legislativo ed economico, perché prima dell’Unificazione, ogni Stato o regno aveva leggi, amministrazioni e monete proprie.
Così in tutto il Regno d’Italia venne adottato lo Statuto Albertino, introdotto il sistema metrico decimale ed estesa la lira sarda, che con il nome di lira italiana divenne la moneta di Stato. Inoltre vennero proclamate diverse leggi:
- furono uniti il codice civile, quelli sul commercio e sulla navigazione. Non venne svolta l’unificazione del Codice penale, infatti ad esclusione della Toscana, nelle altre regioni non venne abolita la pena di morte;
- venne istituita la leva obbligatoria, che creò disagi soprattutto alle famiglie del sud, poiché toglievano braccia al lavoro dei campi. Per questo motivo la nuova legge non fu ben accolta nelle al Sud, creando un divario tra Nord e Sud.
- la legge Rattazzi: secondo cui la gestione dei comuni era affidata a un consiglio; i sindaci venivano nominati dal re, mentre i prefetti avevano il compito di controllare le province;
- la legge Casati, esistente dal 1859 nel regno di Sardegna, istituì l’obbligo scolastico gratuito di due anni, da sei agli otto anni di età, per tutti i bambini italiani.
Questo processo prese il nome di piemontizzazione e suscitò grande scontento nella popolazione. Gli italiani che non appartenevano al Regno di Sardegna, infatti, vissero questa imposizione come una forma di conquista da parte dei Savoia, che per questo motivo venero considerati come sovrani stranieri. Infine un altro aspetto che rese ancora più difficili i rapporti tra i nuovi cittadini italiani e i funzionari piemontesi era la difficoltà di comunicare, dal momento che la maggior parte della popolazione si esprimeva in dialetto.
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La destra storica vuole modernizzare il paese
I poteri della destra cercarono di creare un unico mercato economico nel paese. Così vennero aboliti i dazi doganali, che limitavano i traffici commerciali, e fu incentivato il libero scambio. Questa politica economica stimolò le capacità imprenditoriali degli industriali del Nord, ma l’aumento delle importazioni di prodotti stranieri penalizzò la crescita economica, specie nel Sud. Inoltre per velocizzare i trasporti si svilupparono in tutta la penisola le vie di comunicazione, specie di strade ferrate. L’ampliamento della rete ferroviaria incrementò i commerci tra le zone progredite e quelle arretrate e favorì in particolare il settore agricolo che registrò un significativo aumento della produzione.
Le guerre d’indipendenza, la riorganizzazione amministrativa, il potenziamento della rete ferroviaria, avevano comportato enormi spese. A causa di tutto ciò il debito pubblico era salito vertiginosamente e i governi di destra dovettero applicare alte tasse per risanare le finanze dello Stato. L’aumento di tributi riguardò in maggior misura le imposte indirette che interessavano i beni di prima necessità come i generi alimentari, il sale e il carbone, e colpivano i ceti più bassi della popolazione. Inoltre nel 1868 l’imposizione di una tassa sul macinato, applicata alle farine macinate dei mulini, danneggiò ancor di più le classi sociali povere. Così nel 1869 nella Pianura Padana scoppiarono le prime rivolte dell’Italia unita, che furono represse duramente. Tuttavia la politica fiscale della destra ebbe effetti positivi e le casse dello Stato nel 1875 raggiunsero il pareggio di bilancio, ossia le spese erano pari ai guadagni.
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Il malessere dell’Italia meridionale e la nascita del brigantaggio postunitario
Con l’Unità d’Italia il divario tra il Nord e il Sud apparve evidente: nel Meridione l’agricoltura non era progredita, era poco produttiva e mancavano le vie di comunicazione. Inoltre il 90% della popolazione era analfabeta e viveva in povertà. Questa generale arretratezza non migliorò con l’unificazione amministrativa ed economica dell’Italia, che anzi peggiorò le condizioni di vita della gente con l’inasprimento delle tasse. Inoltre, a differenza dei Borboni, i governi della destra resero obbligatorio il servizio militare, danneggiando così le famiglie, che perdevano braccia per il lavoro agricolo. Di conseguenza in tutto il sud crebbe l’ostilità verso il nuovo Stato e si verificarono numerose rivolte contadine. Il malcontento si espresse nel fenomeno del brigantaggio.
Il brigantaggio, specie quello meridionale consisteva in bande di briganti, cui si unirono contadini ed ex soldati borbonici, che assalivano i paesi e massacravo i notabili, cioè i cittadini più facoltosi e favorevoli al nuovo governo. Ben presto il brigantaggio in Italia si trasformò in una vera e propria guerriglia e tra il 1861 e il 1865 lo Stato dovette inviare in Italia circa 120.000 militari per contrastarlo. La lotta opponeva italiani ad altri italiani e per questo motivo divenne una guerra civile. Inoltre venne emanata la legge Pica che istituiva tribunali militari per giudicare i rivoltosi e ordinava la fucilazione per chiunque si opponesse con le armi. Questi drastici provvedimenti contribuirono a sconfiggere il brigantaggio. Tuttavia gli abitanti liberi del Meridione continuarono a non riconoscere lo Stato italiano. In particolare il brigantaggio in Sicilia si tramutò in mafia, un’associazione segreta che già al tempo dei Borboni cercava di sostituirsi allo Stato tramite mezzi violenti e minacciosi.
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L’unificazione dell’Italia ottenuta dalla destra storica
Dopo tutte le azioni svolte dalla destra storica, nel 1861 l’Italia appariva non ancora del tutto unita, poiché mancavano ancora alcune regioni: Roma, il Lazio, Veneto e la Venezia Giulia. Il Veneto fu preso durante la guerra austro-prussiana del 1866, quando l’Italia, accanto schieratasi accanto alla Prussia, contro l’Austria, ottenne la regione, dopo aver combattuto la Terza Guerra d’indipendenza. Il 20 settembre 1870 invece i bersaglieri, dopo aver combattuto contro le truppe del Papa, entrarono a Roma, con un’azione passata alla storia come la breccia di Porta Pia. In questo modo riuscirono ad annettere Roma e il Lazio al Regno d’Italia e l’anno successivo la capitale venne spostata a Firenze a Roma.
Venne emanate, nel 1871, la legge delle guarentigie, cioè delle garanzie, che sanciva i rapporti tra il Regno d’Italia e la Santa Sede riconoscendo:
al Papa:
- l’inviolabilità della persona;
- il conferimento degli onori sovrani;
- proprie guardie armate;
- la sovranità sui palazzi del Vaticano e del Laterano e sulla villa di Castelgandolfo.
lo Stato invece:
- si sarebbe occupato delle spese della corte papale;
- garantiva la libertà di culto e di testimonianza nel Regno d’Italia;
- esonerava i vescovi dal giuramento di fedeltà al re.