La prima guerra d’indipendenza: le cause degli scontri
Il 23 marzo 1848, dopo la liberazione di Milano e di Venezia, il sovrano piemontese Carlo Alberto dichiarò guerra all’Austria, per diversi motivi:
- i liberali e i democratici sollecitavano il suo intervento per ottenere l’indipendenza italiana dal potere asburgico;
- la monarchia sabauda voleva espandersi verso est, per inglobare il Lombardo-Veneto (dove si trovava il quadrilatero austriaco, il sistema difensivo austriaco);
- il controllo del Lombardo-Veneto avrebbe potuto evitare che in quei territori si rafforzassero gli ideali repubblicani.
Furono queste le basi per lo scoppio della prima guerra d’indipendenza. Alle truppe piemontesi si unirono i reparti inviati dal re di Napoli, dal papa e dal granduca di Toscana, intenzionati a fermare la minaccia dei democratici repubblicani.
Le fasi iniziali della prima guerra d’indipendenza
Le prime fasi della guerra d’indipendenza furono accompagnate dall’entusiasmo popolare e videro la vittoria piemontese nel 1848, prima nella battaglia di Pastrengo dell’aprile 1848 e poi, il mese successivo, nella battaglia di Goito con l’esercito guidato da Eusebio Bava. Dopo questa importante vittoria, Carlo Alberto tuttavia non fu capace di proseguire con le manovre militari, dimostrandosi maggiormente interessato ad annettere il Lombardo-Veneto al suo regno, tramite la preparazione di plebisciti.
Questo atteggiamento insospettì gli alleati, preoccupati che il re sabaudo volesse estendere il proprio dominio sfruttando il loro appoggio militare. Il papa allora ritirò i suoi contingenti, anche per non continuare a schierarsi contro l’Austria, grande potenza cattolica. Il suo esempio fu seguito dal re di Napoli e dal Granduca di Toscana.
Nel 1848 allora l’esercito austriaco guidato da Radetzky sconfisse i Piemontesi nella battaglia di Custoza e di Sommacampagna. Il 9 agosto, il Regno di Sardegna firmò l’armistizio di Salasco (dal nome del generale piemontese che lo stipulò ) e il Lombardo-Veneto tornò sotto il controllo austriaco.
I democratici prendono il potere a Roma e in Toscana
Con la sconfitta di Carlo Alberto si indebolì il fronte dei liberal-moderati, ma fu dato nuovo slancio ai democratici che sollevarono disordini a Roma e a Firenze, obbligando Papa Pio IX e Leopoldo II a rifugiarsi nel Regno delle Due Sicilie, dove nel frattempo Ferdinando II aveva ristabilito il controllo.
A Firenze venne istituito un governo democratico con a capo un triumvirato, tre persone al potere.
Nel febbraio 1849 a Roma, i democratici promossero, tramite l’elezione a suffragio universale, un’Assemblea costituente, formata dai loro esponenti. Questa assemblea dichiarò decaduto il potere temporale del papato, proclamando, il 9 febbraio, la nascita della Repubblica romana. Così come a Firenze il potere venne affidato ai triumviri, uno dei quali era Giuseppe Mazzini.
Leggi anche: Le riforme in Italia: Mazzini, Balbo e Cattaneo
La sconfitta di Novara e la salita al potere di Vittorio Emanuele II
Dopo il 20 marzo 1849 Carlo Alberto riprese la guerra contro l’Austria, questa volta con l’obiettivo di riconquistare il favore dei patrioti italiani e salvaguardare il prestigio della monarchia sabauda. Il 23 marzo, tuttavia, ci fu la sconfitta di Novara, con il generale Radetzky che sbaragliò le truppe piemontesi, numericamente inferiori e già demoralizzate dalle sconfitte precedenti.
Dopo la sconfitta, Carlo Alberto dovette firmare un armistizio che dettava durissime condizioni per l’Italia. Per salvare poi le sorti della monarchia, decise di abdicare in favore del figlio, Vittorio Emanuele II. Al potere il nuovo re firmò un altro armistizio con l’Austria, questa volta con condizioni più moderate per l’Italia. Inoltre fu l’unico sovrano a mantenere la costituzione e a fornire a molti patrioti italiani rifugio in Piemonte. Verso la fine di marzo, anche Brescia insorse per dieci giorni contro gli Austriaci, ma la rivolta venne repressa dall’esercito asburgico.
Leggi anche: I moti rivoluzionari del 1830-1831: riassunto degli avvenimenti
Dopo la guerra di indipendenza si restaurano i governi assoluti
Le rivoluzioni del 1848-1849 in Italia furono un fallimento: i sovrani legittimi ripristinarono il loro potere e bloccarono il processo di riforme poco avviato. Gli Austriaci misero sotto assedio Venezia, che dopo alcuni mesi di resistenza, fu costretta alla resa, essendo rimasta senza rifornimenti ed essendo stata colpita da una pandemia.
Nel Lombardo-Veneto il governo austriaco attuò una dura repressione tramite l’occupazione militare e l’inasprimento delle imposte. Inoltre gli Austriaci restituirono il trono di Toscana a Leopoldo II e rioccuparono i territori pontifici nelle zone di Romagna, Ferrare, Bologna e Marche.
Luigi Napoleone intervenne per deporre la Repubblica Romana e ristabilire al potere la figura del papa. In realtà però il suo intento era quello di ottenere l’appoggio dei cattolici francesi e arginare così l’influenza austriaca nella Penisola.
In aiuto della Repubblica giunsero però molti volontari, a capo dei quali si pose Giuseppe Garibaldi, che si era distinto per le sue imprese in Sud America e che aveva combattuto in Lombardia a fianco dei Piemontesi. I patrioti riuscirono a resistere e poco prima della resa, approvarono la Costituzione della repubblica, simbolo degli ideali democratici su cui era fondata. I Francesi allora occuparono Roma e ripristinarono l’autorità del papa.
Nel frattempo nel Regno delle Due Sicilie la repressione fu feroce e crebbero le difficoltà interne. Gli alti dazi doganali agevolarono lo sviluppo dei pochi centri industriali di Napoli e Salerno, penalizzando però il libero scambio e la concorrenza. Il governo inoltre, per mantenere basse le tasse, limitò le spese statali per l’istruzione e la costruzione di opere pubbliche, alimentando in tal modo l’arretratezza economica del regno.
Leggi anche: Date, mappe concettuali, video e schemi riassuntivi, per aiutarti a fissare al meglio i concetti.