La guerra d’indipendenza americana: scoppia la protesta nelle colonie americane
Dopo la guerra dei Sette anni, era aumentata la coesione tra le tredici colonie che avevano combattuto accanto ai contingenti militari inglesi contro i francesi gli indiani loro alleati.
La guerra terminò nel 1763 con la vittoria della Gran Bretagna, che da quel momento controllò un vasto territorio, con domini come il Canada e la Florida. Il grande dispendio economico causato dal conflitto però indusse il territorio britannico a imporre nuove tasse. In particolare nel 1765 il Parlamento inglese varò lo Stamp Act, una legge che imponeva i coloni a pagare una marca da bollo, una tassa su tutti i documenti e le pubblicazioni come giornali o certificati.
In risposta i coloni iniziarono diversi movimenti di protesta rifiutandosi di pagarla e negando al Parlamento il diritto di inserire nuovi tributi dato che al loro interno le colonie non avevano proprio rappresentanti.
Ciò voleva dire che la tassa imposta dallo Stamp Act non era legittima e nel 1766 il Parlamento fu costretta ad abolirla. Vennero però mantenuti i dazi su molte merci provenienti dalla Gran Bretagna e furono resi più rigidi i controlli doganali. Altro punto di contrasto tra le colonie americane e la madrepatria era poi dovuto ai progetti di espansione dei coloni verso Ovest ostacolati dalla corona. Nel 1763 infatti re Giorgio III con un proclama formò una riserva indiana al di là dei monti Appalachi e vietò ai coloni di occupare quelle terre.
Le colonie si ribellano alla madrepatria: inizia la rivoluzione americana
I coloni reagirono al mantenimento dei dazi commerciali da parte della Gran Bretagna tramite il boicottaggio dei prodotti inglesi, ossia con il rifiuto di acquistare le merci provenienti dalla madrepatria. In tal modo diminuirono di due terzi le esportazioni inglesi nel Nord America, con gravi ripercussioni sull’economia britannica.
Nel 1773 il Parlamento inglese poi affidò alla Compagnia delle Indie orientali il monopolio della vendita del the nel Nord America. Questo atto colpì duramente gli affari dei commercianti locali che si sentirono privati della libertà e di gestire automaticamente i commerci nei loro territori.
Il 16 dicembre 1773 nel porto di Boston un gruppo di coloni travestiti da indiani assalì le navi della Compagnia delle Indie orientali gettando in acqua il carico di tè che trasportavano. Questo episodio, passato alla storia come Boston tea party segnò l’inizio della rivoluzione americana, data in cui iniziarono gli scontri aperti tra le colonie inglesi in America e la madrepatria.
In risposta nel 1774 il governo inglese promulgò leggi repressive; fece chiudere il porto di Boston fino a quando non fossero risarciti i danni comportati dalla perdita del carico di tè, privò poi la colonia del Massachusets dall’autonomia politica e inviò nelle tredici colonie funzionari britannici al posto di giudici locali.
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Le tredici colonie proclamano la dichiarazione di indipendenza
La rivoluzione americana ebbe alla base la voglia delle colonie di ribellarsi al duro atteggiamento del governo britannico. Nel settembre del 1774 a Filadelfia si riunì il Primo Congresso continentale dove presero parte i rappresentanti delle tredici colonie. Essi decisero di boicottare le merci inglesi e rendere valide solo le leggi e le tasse approvate dallo loro assemblee legislative e non quelle varate dal Parlamento inglese. Così facendo le colonie affermarono la loro intenzione di difendere la propria autonomia.
Nel 1775 poi scoppiarono duri scontri tra i coloni e le truppe inglesi che avevano intensificato la repressione. Sempre a Filadelfia poco dopo si riunì il Secondo Congresso continentale durante il quale fu chiara a tutti l’intenzione dei rappresentanti di voler ottenere l’indipendenza americana dalla Gran Bretagna.
Per questo motivo fu istituito un esercito comune capitanato da George Washington, un ricco proprietario terriero della Virginia.
Iniziò così la guerra d’indipendenza americana.
Solo un anno dopo, il 4 luglio 1776 il Congresso approvò la Dichiarazione d’indipendenza scritta da Thomas Jefferson. In questo documento erano raccolte le motivazioni della ribellione delle colonie americane e venivano affermati i principi fondamentali del pensiero illuminista. Veniva infatti sostenuto il principio dell’uguaglianza tra gli uomini, il diritto alla libertà e alla felicità e si assegnavano ai governi il compito di garantire questi diritti. La Dichiarazione di indipendenza rivendicava per le colonie il diritto all’indipendenza ed è per questo considerata il primo atto concreto per la nascita degli Stati Uniti d’America.
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Si combatte per la guerra d’indipendenza americana
Nella prima fase della lotta per l’indipendenza degli Stati Uniti le forze britanniche occuparono New York mostrando la loro superiorità sull’esercito dei coloni, poco numeroso e poco addestrato. Allora George Washington decise di evitare scontri diretti e attuare la tattica militare della guerriglia per logorare i nemici. Così facendo nell’ottobre del 1777 le colonie riportarono la prima vittoria sugli inglesi nella battaglia di Saratoga.
Intanto la guerra di indipendenza americana aveva provocato interesse nell’opinione pubblica, specie tra gli intellettuali illuministi, schierati a favore dei coloni. Così tra il 1777 e il 1779 le potenze rivali della Gran Bretagna, ossia Francia, Spagna e Olanda iniziarono a inviare aiuti economici e militari con la speranza di indebolire il dominio inglese sui mari e per impedire alla flotta britannica di rifornire il proprio esercito.
Nel 1781 le colonie americane, aiutati dai Francesi sconfissero gli inglesi a Yorktown e dopo due anni, nel settembre del 1783 venne firmato il trattato di Versailles con cui la Gran Bretagna riconobbe l’indipendenza delle tredici colonie. La corona inglese mantenne il controllo sul Canada ma cedette alla Francia le isole dei Caraibi e il Senegal, mentre alla Spagna andò la Florida.
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Cosa accade dopo la dichiarazione d’indipendenza? Gli Stati Uniti diventano una Federazione
Dopo aver ottenuto l’indipendenza le ex colonie americane si ritrovarono a ricostruire l’assetto politico dei tredici stati. Nel 1787 a Filadelfia si riunì allora una Convenzione, un assemblea dei delegati dei tredici Stati che guidati da George Washington stese la prima Costituzione americana.
Quest’ultima entrò in vigore nel 1788 sancendo la nascita della Federazione, ossia di un’unione di Stati, ognuno dei quali con un proprio governo e proprie leggi ma tutti che riconoscevano l’autorità politica del Governo centrale federale che si occupava di politica estera, difesa e finanza.
Da quel momento ci fu la nascita degli Stati Uniti d’America e nel 1789 George Washington fu eletto primo Presidente.
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Com’era formata la Costituzione americana?
La Costituzione americana prevedeva, seguendo le idee di Montesquieu la divisione dei tre poteri in:
- potere legislativo: spettava al Congresso eletto dai cittadini e composto dalla Camera dei rappresentanti e dal Senato;
- potere esecutivo: affidato al Presidente che veniva eletto ogni quattro anni. Egli era a capo del Governo federale, comandava le forze armate e poteva bloccare le leggi votate dal Congresso;
- potere giudiziario apparteneva ai giudici eletti in ogni Stato e alla Corte suprema che controllava il rispetto della Costituzione.
Nel 1791 furono aggiunti alla Costituzione dieci emendamenti che ribadivano i diritti individuali dei cittadini, come l’uguaglianza e la libertà, e difendevano l’autonomia degli Stati da possibili prevaricazioni del potere centrale.
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Dopo la rivoluzione americana inizia la conquista dell’Ovest
Dopo la nascita della nazione americana riprese l’espansione verso i territori dell’Ovest. Il Congresso infatti regolò l’assegnazione delle terre ai nuovi coloni e decise che i territori colonizzati fossero trasformati in Stati dell’Unione dopo aver superato il minimo di 60000 abitanti. Così facendo tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento si aggiunsero gli stati del Vermont, Ohio, Tennessee e Kentucky. I veri protagonisti della conquista dell’Ovest furono i pionieri che esplorarono per primi nuovi territori e li colonizzarono.
Durante il XIX secolo il governo degli Stati Uniti acquistò la Louisiana dalla Francia, la Florida dalla Spagna e l’Alaska dalla Russia. Inoltre con scontri armati vennero annessi nel 1845 il Texas e le terre messicane del Nevada e dello Utah.
Le vittime dell’espansione americana furono le popolazioni native che vennero espulse dai loro territori e obbligate a trasferirsi a Ovest. Gli indiani tentarono di opporsi all’invasione dei coloni ma furono decimati anche dalle malattie infettive portate dai pionieri. Inoltre i coloni sterminarono i bisonti, fonte di sopravvivenza dei nativi.
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