Storia

La decolonizzazione: cause e conseguenze nel secondo dopoguerra

Come appare il mondo alla fine della Seconda Guerra Mondiale? Quali sono gli atteggiamenti dei diversi stati e come nascono i fenomeni di rivolta delle colonie che sfoceranno nella decolonizzazione? Un riassunto con video informativi sugli avvenimenti legati alla decolonizzazione e al colonialismo. Una sintesi ottima per fissare al meglio i concetti in vista di un’interrogazione.

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Il mondo nel secondo dopo guerra

La Seconda Guerra Mondiale lasciò un mondo devastato, straziato: la fine della guerra non portò nemmeno la speranza di una pace duratura poiché tra i vincitori regnava la diffidenza. Le perdite umane furono enormi: da 40 a 50 milioni di morti, di cui più della metà civili. L’Europa centrale e quello orientale avevano subito danni maggiori. Le distruzioni materiali assunsero in queste zone proporzioni gigantesche: città rase al suolo, stabilimenti industriali distrutti. Nell’Europa in rovina 30 milioni di profughi persero tutto. Fu il caso, in particolare, dei tedeschi delle regioni orientali che fuggirono di fronte all’Armata Rossa o che furono espulsi dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia e dall’Ungheria.

Il destino del mondo era nelle mani di tre Grandi Potenze: la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, alle quali andò ad aggiungersi anche la Francia: ma il ruolo determinante fu svolto in particolare dalla Russia e dagli Stati Uniti. L’URSS, malgrado le perdite umane e materiali, era politicamente saldo all’interno, mentre all’estero il prestigio dell’Armata Rossa era immenso. Rafforzata territorialmente dall’annessione delle zone che aveva perso dopo la Prima Guerra Mondiale, la Russia estese la propria influenza su tutta l’Europa centrale e orientale. Gli Stati Uniti disponevano di una potenza materiale incomparabile; la loro superiorità militare era garantita dalla bomba atomica; le loro truppe occupavano e amministravano il Giappone; essi avevano abbandonata definitivamente l’isolazionismo.

La riunione a Yalta: un’assemblea per ricreare l’ordine perduto

Riunite a Yalta nel febbraio 1945 le tre Grandi Potenze tracciarono le linee generali per ristabilire la pace. La Germania venne divisa in quattro zone amministrate dagli Alleati, i dirigenti nazisti vennero giudicati e condannati dal tribunale internazionale di Norimberga. Ma ben presto gli Occidentali si inquietarono per l’eccessiva ingerenza sovietica nei Paesi dell’Est e i Sovietici rimproverarono ai loro alleati di non applicare gli accordi sulla denazificazione della Germania e lo smantellamento della sua industria.
Mentre vennero firmati dei trattati con gli alleati della Germania e poi col Giappone, non ci fu alcun accordo internazionale sulle nuove frontiere della Germania e sulla rinascita dello Stato tedesco.

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La decolonizzazione: la rivolta delle colonie

Il colonialismo aveva posto l’Africa e una parte dell’Asia sotto la tutela delle potenze industriali del XIX secolo. Il processo di decolonizzazione restituisce o dà l’indipendenza alle colonie.
Uno degli avvenimenti più rilevanti della nostra epoca è il crollo degli Imperi coloniali. A partire dalla fine della Prima Guerra Mondiale, in alcuni Paesi come l’Egitto, l’India e l’Indocina, si svilupparono dei movimenti nazionali anticolonialisti; tuttavia ancora nel 1945 gli imperi coloniali continuarono a sussistere sostanzialmente. L’Egitto che aveva già ricevuto l’indipendenza, subì notevolmente le influenze inglesi. A partire dal 1945 la rivendicazione dell’indipendenza non costituiva più il dato di fatto di una minoranza colta, ma della massa della popolazione: non era più la riforma del colonialismo ad essere richiesta, ma la sua abolizione. Il rifiuto del colonialismo significava rifiuto di una autorità esterna, che pretendeva di imporre i propri modelli di vita e la propria cultura, rifiuto dello sfruttamento economico che, pur aprendo il paese all’economia moderna, arricchiva solo una piccola minoranza della popolazione, il rifiuto di essere governati dallo straniero.

Questa rivendicazione nazionale rappresentava dapprima il dato di fatto di una minoranza sensibile allo scarto esistente tra l’ideale di libertà e d’uguaglianza proclamato dai colonizzatori e la realtà. Per la massa della popolazione liberarsi dal colonialismo significava sperare di uscire dalla miseria e per tutti quanti significa riconquistare la propria dignità. L’azione dei partiti e dei movimenti nazionalisti beneficiò di molte influenze esterne. La rivoluzione russa portò l’esempio di un paese che si era messo contro le potenze capitalistiche ed era riuscito a svilupparsi nella completa indipendenza, ma l’Urss forniva anche un appoggio politico e materiale: e la lotta contro il capitalismo, i movimenti di liberazione nazionale erano considerati come alleati del comunismo. Le guerre mondiali soprattutto la seconda, avevano dato loro un impulso decisivo.

Gli Alleati proclamarono di lottare per la libertà dei popoli e gli abitanti delle colonie, che spesso presero parte allo sforzo bellico. La guerra stessa rivelava le debolezze di alcuni potenti coloniali, in particolare di Francia e Inghilterra. A partire dal 1945 scoppiò la rivolta contro il colonialismo: in 15 anni attraverso conflitti talvolta sanguinosi, i popoli asiatici e africani conquisteranno la loro indipendenza.

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Il crollo degli imperi coloniali: l’inizio della decolonizzazione

Già durante la guerra gli abitanti delle colonie fecero sentire la loro voce: in India Gandhi e il Partito del Congresso affermarono che soltanto l’indipendenza avrebbe potuto consentire agli indiani di collaborare e militarmente con gli Alleati. In Algeria il popolo algerino chiese la creazione di uno Stato indipendente. A partire dall’8 maggio 1945 grandi manifestazioni nazionalisti diedero luogo a sanguinosi incidenti, mentre la repressione fece diversi migliaia di morti. Nell’Indocina francese, evacuata dei giapponesi, il Vietnam proclamò la propria indipendenza e l’Indonesia lo stesso. Dal 1946 gli USA emanciparono le Filippine, nel 1947 la Gran Bretagna cedette di fronte alla vastità del movimento nazionale, accordando l’indipendenza all’India e il Pakistan. Iniziò in questo modo la decolonizzazione. Essa si scontrò talvolta con violente resistenze.

La potenza del nazionalismo non venne capita dalle metropoli coloniali che sostenevano che i sudditi delle colonie non erano in grado di autogovernarsi e che l’indipendenza avrebbe significato il caso. L’opinione pubblica, a cui non si era mai cessato di ripetere che il ruolo del colonialismo era quello di portare la civiltà ai popoli arretrati, non capiva questa improvvisa ribellione. In Algeria la minoranza europea rifiutava ogni tipo di evoluzione. La repressione era spesso l’unica risposta data ai sudditi coloniali che si vedevano pertanto costretti a passare alla rivolta armata. Questo è il motivo per cui l’indipendenza veniva spesso ottenuta tramite una lotta violenta, fatta di attentati e di sommosse che potevano arrivare fino alla guerra, come in Indonesia, in Indocina e in Algeria. Le operazioni belliche si prolungarono oltre misura contro un avversario che utilizzava tutte le risorse della guerra e si confondeva tra la popolazione. In Algeria la presenza di oltre 1 milione di francesi diede al conflitto l’aspetto di una guerra civile; e dopo gravi sofferenze i francesi erano costretti ad abbandonare l’Algeria, che nel 1962 aveva acquisito l’indipendenza.

Intanto l’impossibilità o l’inutilità del mantenimento del dominio politico tramite la forza, portò le potenze coloniali a rinunciare a questi possedimenti. L’Africa Nera, dove il movimento nazionale era più tardivo, ottenne, senza spargimento di sangue, la sua indipendenza dal 1960 in poi. Dopo aver ottenuto l’indipendenza politica l’ex colonie dovettero costituire un’economia indipendente, rispondente alle necessità della popolazione. In un mondo che presentava delle caratteristiche così diverse, questo compito appariva estremamente difficile. I problemi dello sviluppo, dei rapporti tra paesi sviluppati e paesi sottosviluppati subentrarono ai problemi coloniali.

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