Storia

L’Italia nella Seconda Guerra Mondiale: dalla campagna d’Africa al crollo del regime fascista

Perché l’Italia entrò nella Seconda Guerra Mondiale nonostante l’iniziale volontà di rimanere non belligerante? Ripercorriamo le fasi dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, dalle campagne fallimentari alla caduta di Mussolini, fino allo sbarco degli alleati Americani nel Paese. Una sintesi sulla Seconda Guerra Mondiale con video informativi, utili per fissare al meglio i concetti.

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L’Italia in guerra: l’iniziale non belligeranza del Paese

Benché legata alla Germania dal Patto d’acciaio, l’Italia, in pieno accordo con Hitler, non entrò in guerra il 1 settembre 1939, ma proclamò la sua non belligeranza. Perché? Il paese era assolutamente impreparato sia dal punto di vista militare sia dal punto di vista della produzione industriale. Mancavano del tutto i carri armati pesanti, erano di cattiva qualità e poco numerosi i carri medi leggeri, era scarso il numero di aerei e inferiori tecnicamente a quelli di altre potenze.

Solo la Marina, pur essendo priva di portaerei, aveva una sua notevole efficienza. La non belligeranza portata avanti dall’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale era pertanto non solo utile, ma necessaria. Ma quanto sarebbe durata? Le fulminee vittorie tedesca nella primavera del 1940 turbavano profondamente Mussolini, che era ormai deciso a stringere i tempi e non farsi sopravanzare dalla storia. Furono in molti anche tra i più stretti collaboratori a far presente la situazione e l’impreparazione militare dell’Italia. Ma Mussolini decise ugualmente di fare la guerra.

La Seconda Guerra Mondiale: perché l’Italia entra in guerra?

Senza chiedere neppure il parere del Gran Consiglio, o del Consiglio dei Ministri, il 10 giugno 1940, convinto che il conflitto si avviava alla fine, l’Italia di Mussolini dichiarò guerra alla Francia e all’Inghilterra. Mussolini erroneamente riteneva che la guerra sarebbe finita a settembre: era convinto quindi di aver solo bisogno di alcune migliaia di morti conquistare il diritto di sedere al tavolo della pace come belligerante. Non pensò affatto che l’Inghilterra avrebbe potuto continuare a combattere. Sul fronte delle Alpi erano schierate 22 divisioni contro i 175.000 francesi, installati in posizioni fortificate. Sia nella zona montana che in quella costiera, l’esercito italiano poté penetrare in territorio francese in modi insignificante.

L’operazione ebbe una durata di due settimane: il 24 giugno veniva firmato l’armistizio con la Francia. L’Italia non ebbe come compenso né Nizza, né la Savoia, né la Corsica, né i porti della Tunisia, perché in sostanza a vincere la Francia era stato Hitler e non Mussolini. Egli aveva pensato di entrare nel conflitto per partecipare ai frutti della vittoria, più che per combattere, rimase sconvolto dai risultati conseguiti. La breve guerra sul fronte occidentale si può dire che segnò l’inizio della frattura tra il  Fascismo ed il paese che iniziò a comprendere di essere stato trascinato in guerra in modo irresponsabile.

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La fallimentari campagne d’Africa e di Russia

Le forze italiane in Libia erano formate, nel settembre 1940, da 167.000 uomini, 1600 pezzi di artiglieria, 340 carri armati, 8000 automezzi e 315 aerei. Per ordine di Mussolini il 13 settembre il maresciallo Graziani attaccò gli inglesi e in tre giorni giunse a Sidi-el-Barrani con un balzo in avanti di 150 km. La resistenza era stata piuttosto scarsa e le forze inglesi, con pochissime perdite, si erano ritirate il campo trincerato di Marsa Matruh. Ma qui l’avanzata italiana dovette arrestarsi. Nel dicembre, l’armata inglese di Wawell, che si era rapidamente riorganizzata, sferrò un offensiva: le truppe motorizzate, dotate di carri con cannoni da 37 mm, montati su torrette mobili e protette da un’aviazione, che aveva il pieno dominio dell’aria, giunsero oltre Bengasi. Le forze italiane si batterono con tenacia, ma dovettero piegarsi alla superiorità tecnica degli avversari.

Il bilancio dell’Italia fu doloroso: 130.000 prigionieri, 400 carri e 1200 cannoni caddero in mano inglese. Il generale Wawell, dopo il successo in Cirenaica, poté inviare uomini e mezzi in Africa orientale per dar manforte all’offensiva, che intanto gli inglesi avevano sferrato sia del Kenya che dal Sudan. Le nostre colonie dell’Africa orientale, Etiopia Eritrea e Somalia, prive di rifornimenti e di collegamenti con la madrepatria, resistettero accanitamente e a lungo, ma dovettero alla fine cedere: la resistenza a Gondar ebbe termine il 27 novembre 1941. Intanto in Libia era giunto un corpo di spedizione tedesco, l’Africa Korps, formato da tre divisioni, dotate di buoni carri armati, di ottime artiglierie anticarro e comandate dal generale Rommel. Il 24 marzo 1941 le forze italo-tedesche sferrarono un attacco travolgente riconquistando in due settimane tutta la Cirenaica fino a Solum.

Nel novembre gli inglesi con una nuova offensiva, per quanto contenuta, con l’abilità della divisione corazzata Ariete tornarono in Cirenaica. Nel gennaio 1942 le forze italo-tedesche attaccarono gli inglesi, li travolsero, riconquistarono la Cirenaica giungendo sino a El-Alamein, a 80 km da Alessandria. Ma, in autunno a El Amalein, gli inglesi al comando del maresciallo Montgomery capovolsero la situazione, per l’enorme superiorità di uomini e mezzi: il 23 dicembre erano a Tripoli. Le residue forze italo-tedesche ritiratesi in Tunisia furono attaccate con ingenti forze, tra cui 800 carri armati e costretti alla resa il 12 maggio 1943. La campagna d’Africa aveva così termine. Sul fronte russo Mussolini volle che il nostro esercito fosse presente a fianco dei reparti tedeschi, inviò un corpo di spedizione indicato con la sigla CSIR e poi Armir, formato da ottime truppe, ma non ben equipaggiato per le terribili temperature dell’inverno.

Essi si comportarono valorosamente combattendo nei bacini del Don e del Donetz, guidate dall’eccellente generale Messe. Dopo la sconfitta tedesca di Stalingrado, travolto il fronte sul Don, l’Armir non poté resistere all’offensiva dei carri pesanti sovietici e fu costretto a ripiegare. Ebbe così inizio la tragedia della ritirata per migliaia di chilometri nel terribile inverno russo, sotto gli attacchi di unità celeri sovietiche. Nella campagna di Russia le perdite furono gravi.

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Il 25 luglio 1943: il crollo del Regime Fascista

Il 15 giugno 1943 le forze italo-tedesche, prese in una morsa dagli Anglo-americani, furono costrette ad arrendersi. Terminava così la lotta in Africa. L’Italia era ora esposta più che mai ai micidiali bombardamenti aerei e non era in grado di impedire eventuali sbarchi alleati. Lo sbarco degli Americani in Sicilia fu il segnale certo che ormai la guerra era perduta. Si fece così ancora più viva l’opposizione al Fascismo, che aveva trascinato il paese in una guerra impopolare e catastrofica, il cui ultimo frutto era l’invasione del territorio nazionale. Questa opposizione era divenuta viva nel Re, negli alti gradi delle forze armate e in alcuni capi fascisti, come Dino Grandi, ex ambasciatore a Londra e come Galeazzo Ciano, genero di Mussolini.

Il pomeriggio del 24 luglio fu convocato, per iniziativa di Grandi, il Gran Consiglio del Fascismo: l’importante seduta si protrasse fino alle tre del 25 luglio. Mussolini fu messo in stato di accusa e obbligato a rassegnare le dimissioni al Re. Quando Mussolini, il pomeriggio del 25 luglio, si recò a Villa Savoia dal sovrano per informarlo della situazione, Vittorio Emanuele III aveva già nominato il maresciallo Badoglio capo del nuovo governo. All’uscita dell’udienza con il Re, Mussolini fu fatto salire su un ambulanza e portato al sicuro in una caserma romana dei carabinieri. La clamorosa notizia della caduta di Mussolini, così improvvisa e tuttavia così attesa da tempo provocò esultanza nel paese. Fu detto che forse mai nella storia un regime era caduto in mezzo a un consenso così unanime, sotto così un’unanime condanna. Ovunque le insegne del Regime vennero eliminate.

Né il Partito nazionale Fascista né la Milizia reagirono. Il governo Badoglio tra i primi due atti decise lo scioglimento del Partito Nazionale Fascista e della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, incorporò nell’esercito la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Soppresse il Gran Consiglio del Fascismo e il tribunale speciale; vietò tuttavia l’attività dei partiti antifascisti e conservò la censura politica. Il maresciallo Badoglio nel suo proclama dichiarava che la guerra continuava, ma l’obiettivo era di trattare con gli anglo-americani per una pace separata. Le trattative, iniziate alla fine di luglio, furono lente e difficili e si conclusero il 3 settembre a Cassabile con la resa incondizionata e la consegna della flotta.

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L’Italia liberata dagli Americani e divisa in due

I tedeschi dopo la caduta di Mussolini non avevano perso tempo per prendere misure adeguate a fronteggiare la situazione, nel caso che l’Italia avesse fatto pace separata con gli Angloamericani. Le divisioni tedesche in Italia, nel periodo tra il 25 luglio e l’8 settembre, aumentarono da 7 a 17; si installarono i principali punti strategici del nostro paese. Le nostre divisioni in Italia ammontavano a 36, ma erano prive di armi pesanti e di mezzi di trasporto. L’armistizio venne firmato il 3 settembre con la clausola di tenerlo segreto fino al momento dello sbarco delle forze alleate nella penisola, allo scopo di contenere la prevedibile reazione dei Tedeschi. Ancora nulla era pronto per un coordinamento delle operazioni angloamericane e di quelle italiane, quando l’8 settembre, alle 18:30, il maresciallo Eisenhower diede alla radio l’annuncio della firma dell’armistizio, che fu subito confermato da Badoglio, con un messaggio ambiguo che ordinava alle truppe italiane di cessare le ostilità contro gli Angloamericani, ma di reagire contro gli eventuali attacchi di qualunque altra provenienza.

Poiché ore dopo, mentre i tedeschi occupavano i punti strategici dell’Italia settentrionale e centrale, l’esercito italiano, privo di indicazioni precise si dissolveva nel caos. Intere divisioni venivano disarmate dalle forze tedesche e avviate ai campi di concentramento in Germania. Il re, la famiglia reale, Badoglio, lo Stato Maggiore abbandonarono Roma per raggiungere a Sud gli Alleati: così le unità italiane dislocate nei Balcani, in Francia, in Italia settentrionale e Centrale cercarono invano con angosciose telefonate di avere istruzioni a Roma dal Quartier Generale.

La flotta, in quella tragedia, era rimasta efficiente e disciplinata. Obbedì compatta all’ordine di raggiungere Malta. Bombardieri tedeschi attaccarono la formazione italiana alla Maddalena, a nord della Sardegna, affondando la corazzata Roma. Intanto l’8 settembre sei divisioni Angloamericane erano sbarcate a Salerno, forti della superiorità aerea e dell’appoggio della flotta. Ma dopo aspri combattimenti i tedeschi bloccavano l’avanzata dal sud sulla linea Sangro-Garigliano, detta linea Gustav. L’Italia era divisa in due: nel Italia meridionale aveva inizio il Regno del sud. Nell’Italia settentrionale, controllata dalla Wehrmacht, i tedeschi costituivano uno Stato fascista, la Repubblica Sociale Italiana, a capo della quale misero Mussolini, che il 12 settembre era stato liberato dalla sua prigione sul Gran Sasso.

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