Storia

L’età giolittiana: storia e caratteristiche della politica di Giolitti

Giovanni Giolitti è stato una delle figure più importanti della politica italiana. Di orientamento liberale durante i suoi governi è riuscito a creare collaborazioni importanti con il cattolici, e a conquistare nuovi territori con la guerra in Libia. Ripercorriamo l’età giolittiana e i governi di Giovanni Giolitti, un riassunto chiaro con video esplicativi con tante informazioni utili.

età giolittiana

Giovanni Giolitti: dove nasce e come si avvicina alla vita politica

Prima di parlare di Giovanni Giolitti come politico, è importante inquadrare la sua figura come uomo. Ecco perché abbiamo raccolto di seguito alcune informazioni su chi è Giolitti, una breve biografia che sarà utile per conoscere al meglio questa importante figura politica italiana.
Giolitti nacque a Mondovì in Piemonte, da una famiglia medio borghese. Fin da giovane si avvicinò alla politica, prima come funzionario nell’amministrazione statale poi come segretario generale della Corte dei Conti. A partire dal 1882 entrò definitivamente nel mondo della politica diventando deputato della Camera. La politica di Giolitti era basata sul liberismo progressista, e per questo inizialmente si avvicinò alle idee di Agostino Depretis. per poi allontanarsi, poiché non condivideva le sue idee sul trasformismo, così come Crispi, che divenuto Presidente del Consiglio nel 1889 nominò Giolitti Ministro del Tesoro e delle Finanze.

Il primo governo Giolitti: dalle riforme allo scandalo

Il primo governo Giolitti, come abbiamo visto, iniziò quando deposto Di Rudinì, Giovanni Giolitti ricette l’incarico di formare un nuovo esecutivo. Dopo gli scandali che videro al potere prima Crispi e poi Di Rudinì, nel maggio 1892 Giolitti venne eletto presidente del Consiglio. In queste vesti Giolitti promosse la progressività delle imposte, un principio fiscale che indicava come parametro di pagamento delle tasse la ricchezza o meno della popolazione, e diede maggiore liberà di sciopero ai lavoratori, in particolare ai Fasci dei lavoratori in Sicilia, movimento insurrezionale che verrà poi bloccato da Crispi nel 1894.

Il suo atteggiamento liberale però non piacque ai conservatori che condannavano soprattutto il suo modo di difendere le rivolte operaie. Questa prima fase del periodo giolittiano finì a seguito di uno scandalo, quando Giolitti fu accusato di aver coperto movimenti di denaro della Banca di Roma, ai tempi in cui era Ministro del Tesoro. Anziché difendersi Giovanni Giolitti preferì dimettersi e lasciare l’Italia per due anni, durante i quali il governo passò di nuovo sotto le mani di Crispi.

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L’età giolittiana: Giolitti al potere dal 1904 al 1914

Al potere Crispi fermò in modo violento il movimento dei Fasci siciliani, e mosse una perdente campagna coloniale, due eventi che lo portarono alla caduta. Al suo posto tornò Di Rudinì, il quale non riuscì a gestire nel 1898 le rivolte, scoppiate a Milano per il rincaro del pane, che vennero fermate con violenza da Bava Beccaria.
Seguirono gli anni dei governi di Pelloux e Giuseppe Saracco durante i quali l’Italia sembrò trovare la tranquillità, che però si perse quando, nel 1900 l’anarchico Gaetano Bresci uccise il re Umberto I. Al suo posto salì al trono il figlio Vittorio Emanuele II che affidò il governo a Zanardelli il quale a sua volta nominò ministro degli Interni Giolitti, dando inizio al periodo noto come età giolittiana.

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L’Italia di Giolitti: la politica interna

Il governo Giolitti si caratterizzò per diverse riforme sociali come:

  • tutela del lavoro minorile e femminile;
  • la creazione di assicurazioni per tutelare i lavoratori;
  • la municipalizzazione dei servizi pubblici.

Nel 1903 Zanardelli si dimise e Giolitti fu chiamato a formare un nuovo governo. Al potere Giolitti portò avanti progetti per favorire l’industrializzazione in tutto il Paese, dedicando particolare attenzione (per alcuni fittizie) al Sud, con leggi speciali per il Mezzogiorno, volte ad incoraggiare, specie in Basilicata e Napoli l’agricoltura e l’industria.
Per allargare le basi della sua maggioranza, Giolitti propose a Turati, leader del partito socialista, di entrare nel suo governo ma a un suo rifiuto i socialisti assunsero posizioni più radicali, evento che convinse Giolitti ad avvicinarsi ai cattolici ed ottenere la maggioranza alle elezioni.

Dopo aver progettato poi la statalizzazione delle ferrovie Giolitti iniziò ad avere attorno a sé sempre più oppositori, e decise strategicamente di dimettersi.
Nel 1906 tornò poi alla guida del governo ma si scontrò con le lotte sociali dovute alle difficoltà economiche derivanti dalla crisi nazionale del 1907, che portarono a dissapori tra operai e Confindustria.
Non potendo avere pieno controllo del governo, Giolitti attuò una seconda ritirata. Nel 1911 tornò poi nuovamente al governo, questa volta con un programma orientato all’istruzione elementare e ad estendere il suffragio universale maschile a tutti coloro che avessero compiuto i 30 anni di età o avessero fatto il militare.

Giovanni Giolitti: riassunto della politica estera e la guerra in Libia

I governi Giolitti non furono incentrati solo sulla politica interna. In politica estera, Giolitti abbandonò la Triplice Alleanza, il patto difensivo stipulato con Germania e Austro-Ungheria, per firmare un accordo con la Francia e porre fine, nel 1902, alla guerra doganale e alla questione africana. Il patto prevedeva che l’Italia ottenesse il riconoscimento dei suoi interessi in Libia, mentre lasciava all’Italia il controllo sul Marocco. Giolitti inviò allora 35.000 uomini armati in Libia, scontrandosi però con gli interessi dei Turchi. Iniziò così la guerra italo-turca che si estese anche in Grecia, dove gli italiani conquistarono Rodi e il Dodeanneso. Gli scontri termineranno con la pace di Losanna, stabilendo la sovranità dell’Italia in Libia.

Il governo di Giolitti: la formazione di diversi partiti

Durante l’età giolittiana nasce il movimento democratico-cristiano guidato da Romolo Murri, un sacerdote osteggiato da papa Pio X, che lo aveva scomunicato. Questo movimento in Sicilia venne posto sotto la guida di Luigi Sturzo e portò allo sviluppo del movimento sindacale cattolico e alla formazione delle «leghe bianche».
Rendendosi conto dell’importanza e della forza della Chiesa in questo periodo, Giolitti stabilisce, tramite il Patto Gentiloni, un accordo secondo il quale i cattolici accettarono di votare per i candidati liberali che si fossero opposti a ogni legislazione anticlericale. Così facendo i cattolici resero nullo il «non expedit»  emanato da Pio IX che proibiva loro di partecipare alla vita politica.

Ad appoggiare Giolitti ci furono anche i socialisti che vedevano nella collaborazione con la borghesia progressista la possibilità di ottenere delle riforme. Durante il Congresso di Bologna del 1904, quando le correnti rivoluzionarie presero la guida del partito, si mostrarono tutti i gravi limiti organizzativi del Partito socialista che portarono, nel 1912 al ritorno dei rivoluzionari al controllo. Tra i leader in quel periodo spiccò la figura di uomo destinato a far parlare molto di sé, Benito Mussolini, direttore del quotidiano «L’Avanti».

In opposizione alla figura di Giolitti e al suo governo ci furono invece i nazionalisti che, specie dopo la guerra di Libia, disprezzavano l’«Italietta» di Giolitti, così come la definivano, e mostravano apertamente la loro idea di rendere l’Italia una potenza militare più forte.  Tra gli esponenti del movimento c’era Gabriele d’Annunzio, portavoce della rivista Il Regno.

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La fine del giolittismo e dell’età giolittiana

Ancora una volta Giolitti, rendendosi conto della precaria situazione politica, decise di rassegnare di nuovo le dimissioni, dando come suo successore Antonio Salandra. Così come in precedenza Giolitti si dimise con l’obiettivo di tornare, ma a causa del contrasto tra destra e sinistra e dei continui contrasti sociali fu impossibile per lui tornare al potere. Inoltre tra il il 7 e il 14 giugno 1914 in Italia scoppiò la «settimana rossa», sette giorni di insurrezioni contro il divieto di svolgere manifestazioni antimilitari, capitanate da Pietro Nenni, Enrico Malatesta e Benito Mussolini.

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