Storia

La crisi del 1929 e il New Deal negli Stati Uniti

Dopo la grande guerra ci fu un periodo di forte splendore, specie gli Stati Uniti, passato alla storia come i ruggenti anni Venti. Questo periodo di splendore però venne bloccato dalla crisi del 1929, che raggiunse il suo apice con il crollo della borsa di Wall Street. Ripercorriamo le fasi della crisi del 1929, e come gli Stati intervennero per fermare la crisi, come Roosevelt, promotore del New Deal. Un riassunto chiaro con video informativi.

crisi 1929

I ruggenti anni ’20: il boom economico negli Stati Uniti

Dal 1919 al 1939 gli Stati Uniti ebbero due immagini: da una parte quella di un paese prospero in cui già un abitante su cinque possedeva un’automobile, dall’altro quella di una generazione provata dalla crisi economica in cui milioni di uomini si trovano senza impiego e senza risorse. Gli Stati Uniti fornirono, durante e dopo la guerra, all’Europa materiali e prodotti alimentari. Si affermò così il ruolo mondiale dell’economia americana. Impiegando nuove tecniche le imprese produssero beni di consumo in gran quantità; tuttavia la ricchezza restavano ripartite in modo disuguale tra la popolazione: la produzione aumentò più fretta del consumo, mentre il calo dei prezzi agricoli diminuì il potere d’acquisto degli agricoltori.

I grandi affari dominavano l’economia e la vita politica. Il nazionalismo e il conservatorismo si esprimevano sotto diverse forme: restrizione dell’immigrazione, anticomunismo, razzismo. Gli Stati Uniti iniziarono ad allontanarsi dall’Europa di cui diffidavano più che mai. La stampa, letteratura e il cinema presentavano l’America come la terra promessa della democrazia, dove ciascuno poteva sperare di fare fortuna. Questo periodo viene ricordato come i ruggenti anni Venti degli Stati Uniti, in un periodo tra il 1922 e il 1929,  che sfoceranno poi nella crisi del ’29.

La crisi del 1929: il New deal di Roosevelt

Il passaggio dalla prosperità alla crisi avvenne in modo molto violento: la crisi colpì la società a tutti livelli. Eletto e rieletto trionfalmente nel 1936 e nel  1940 Roosevelt definì una politica nuova, il New deal, impiegando tutti i mezzi di cui disponeva lo Stato per risollevare l’economia; controllo della produzione industriale, riduzione delle superfici coltivate, programma di grandi lavori finanziati dallo Stato. Misure sociali come l’assicurazione contro la disoccupazione e il salario minimo fornirono ai salariati i mezzi per riprendere i loro acquisti. L’intervento dello Stato incontrò forti opposizioni in un paese molto attaccato al liberalismo; i grandi affaristi denunciavano il Socialismo di Roosevelt, ma non arrivarono ad intaccare la sua popolarità. I risultati economici furono piuttosto deludenti, ma la politica di Roosevelt lasciò delle tracce profonde: col favore della crisi il potere del presidente fu rafforzato, la funzione economica e sociale dello Stato fu ammessa e il sindacalismo venne riconosciuto.

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La grande crisi del 1929 si estende a tutto il mondo

Nel 1929, quando l’economia sembrava aver  raggiunto il massimo grado di prosperità, scoppiò negli Stati Uniti una crisi di eccezionale gravità, che raggiunse in seguito l’Europa, toccando tutti i paesi del mondo ad eccezione della Russia. Essa iniziò con un crollo delle azioni della borsa di Wall Street, il 1929, portando poi alla paralisi dell’economia. Dappertutto si verificarono le stesse conseguenze: le merci invendute si accumularono e le fabbriche furono costrette a chiudere una dopo l’altra, per l’assenza di mercato; molte imprese, soprattutto piccole e medie, dichiararono fallimento; gli stessi agricoltori non riuscirono più a vendere i loro prodotti i cui prezzi calarono in continuazione.  La disoccupazione, che non era mai scomparso del tutto, anche durante il periodo di prosperità, assunse aspetti catastrofici. Milioni di uomini e donne si trovavano senza lavoro e se la crisi fece calare i prezzi, i redditi diminuirono in modo ancora più rapido. Mentre la sovrapproduzione portò alla distribuzione di beni e dei prodotti invendibili, ovunque regnava la miseria.

Iniziata nel 1929, la crisi continuò ad aggravarsi fino alla fine del 1932. Gli Stati Uniti e la Germania erano i paesi più profondamente colpiti: in essi la crisi assunse infatti le proporzioni di un vero e proprio rivolgimento sociale. Furono colpiti dalla crisi anche i paesi coloniali sottosviluppati, esportatori di materie prime e di prodotti alimentari, poiché le potenze industriali non acquistavano più i loro prodotti: i brasiliani, che avevano sviluppato la cultura del caffè lo bruciavano nelle caldaie delle locomotive.

Dei prodotti alimentari venivano distrutti mentre vi erano milioni di persone affamate: di fronte a una simile assurdità numerosi erano coloro che denunciavano il regime capitalistico confidando in una rivoluzione socialista. Altri, disorientati dalla catastrofe di cui non riuscivano a capire le cause, spaventati dai disordini e dalle minacce della rivoluzione, cercavano la salvezza nella dittatura di un capo onnipotente. In alcuni Stati la crisi politica era accentuata da un vivo sentimento nazionalista.

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La lotta contro la crisi: la risposta dei diversi Stati

Come rimettere in sesto l’economia? Questa era la domanda che si ponevano tutti i governi. Essi non erano affatto preparati a dare una risposta, poiché restavano attaccati al liberalismo, che voleva che lo Stato intervenisse il meno possibile nell’economia. Le crisi erano considerate inevitabili, ma passeggere: così si spiega l’ottimismo del presidente degli Stati Uniti, Hoover, che si accontentava di proclamare «la prosperità e l’angolo della strada». Ma l’ampiezza e soprattutto la durata della crisi resero inevitabile l’intervento dello Stato per evitare il crollo completo dell’economia. L’aumento dei movimenti di opposizione e la violenza crescente delle manifestazioni imposero una nuova politica: democrazie e dittature tentarono diverse vie che portarono tutte a un rafforzamento durevole dei poteri dello Stato.

Fino a quel momento gli industriali, i commercianti, i banchieri organizzavano liberamente le proprie attività economiche; ora lo Stato regolava e controllava queste attività, cercando di limitare la produzione di settori in cui vi era sovrapproduzione. Negli Stati Uniti, con un’insieme di provvedimenti che venivano sintetizzati con il termine New Deal, il governo incoraggiava le imprese a consultarsi tra di loro per stabilire i quantitativi da produrre, impedire il Calo eccessivo dei prezzi agricoli e risollevare l’economia. In Francia ad esempio l’Ente del grano offriva di anticipare i contadini per consentire loro di non liquidare il raccolto a basso prezzo. Nello stesso tempo cresceva la funzione sociale dello Stato che non si prefiggeva solo lo scopo di porre fine alla crisi, ma anche quello di impedire il ritorno di una simile catastrofe. È per questo motivo che da allora lo Stato non ha mai cessato di intervenire nelle questioni economiche.

new deal

Wall Street Crash (la borsa di Wall Street è caduta)

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Le tensioni internazionali dopo il New Deal

La lotta contro la crisi fece svanire anche la solidarietà internazionale. Attraverso i diritti doganali gli Stati si sforzavano di proteggere la loro economia: inoltre acquistarono il meno possibile prodotti all’estero. Alcuni Stati come la Germania e l’Italia cercavano di vendere in autarchia. Si sviluppò così un nazionalismo aggressivo, rafforzata dalla politica delle dittature, che cercavano delle soluzioni alla crisi dell’armamento, nell’espansione territoriale e nella conquista militare: queste potenze condurranno il mondo verso la guerra.

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